4 bias cognitivi che dovresti conoscere se lavori nel marketing

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Ho da poco finito di leggere la fabbrica delle scelte” di Richard Shotton edito da Roiedizioni, un libro che mostra come applicare le scoperte della scienza comportamentale alla pubblicità. Il libro evidenzia venticinque bias comportamentali offrendo un punto di osservazione su quello che accade nella nostra mente quando dobbiamo prendere delle decisioni.

Lo devo confessare, pensavo fosse l’ennesimo libro di psicologia comportamentale con concetti triti e ritriti per chi opera in questo mondo. Mi sono ricreduto dopo il primo capitolo, l’autore, un pubblicitario di lunga data, riprende alcune delle famose teorie di Cialdini. Lo fa sporcandosi le mani, sperimenta, ne trova di nuove e prova ad applicarle dal punto di vista pubblicitario. Si pone numerose domande sul perchè la maggior parte delle agenzie non tenga conto di queste evidenze scientifiche. Penso sia uno dei migliori libri letti sull’argomento e credo rappresenti davvero un must per chi lavora nel marketing.

Ecco dunque alcune delle prime teorie riprese dal libro.

L’errore fondamentale di attribuzione

L’errore fondamentale di attribuzione è la tendenza a sovrastimare l’importanza della personalità e sottostimare quella del contesto quando si cerca di spiegare un comportamento. L’autore chiede a 433 persone di immaginare chi si sarebbe fermato ad aiutare un uomo apparentemente in difficoltà accovacciato a un portone, un tipo caritatevole che va di fretta o un tipo meno caritatevole non di fretta? Quasi tutti i rispondenti erano concordi nel sostenere che quello caritatevole si sarebbe comunque fermato, è accaduto esattamente l’opposto. Nel giudicare la situazione quasi tutti hanno sottovalutato il contesto (la fretta della persona caritatevole) che spesso va oltre la personalità. Da questo bias emergono importanti spunti per il mondo della comunicazione, non basta targetizzare il pubblico in base alla personalità, il contesto gioca un ruolo cruciale. Cosa si può apprendere da questo bias:

  • Chi va di fretta è distratto, quindi evitate di comunicare quando le persone sono di fretta, ad esempio quando si legge il giornale (anche online) è perchè non si sta facendo altro, cosi come al cinema o quando si guarda la tv.
  • I brand dovrebbero concentrarsi su contesti target oltre che su pubblicità target.

Riprova sociale, ovvero perchè i brand popolari diventano ancora più popolari

L’autore attraverso un’esperimento dimostra come la riprova sociale sia fondamentale, ha infatti mostrato a 300 persone le immagini di un falso brand di birra e ha detto loro che stava per essere lanciato in UK, a metà del campione ha spiegato le origini degli ingredienti, all’altra metà ha detto che era la birra più popolare in Sudafrica. Nel secondo scenario i consumatori erano due volte più disposti a provarla. Cosa si può imparare da questo esperimento?

  • è sempre importante affermare la popolarità del proprio prodotto,
  • si può essere ancora più efficaci se facciamo si che il consumatore si identifichi tra i suoi simili, ad esempio se un annuncio esce sul Corriere della Sera, dovremmo accennare alla popolarità del nostro prodotto tra i suoi lettori.

Perchè pochi brand sfruttano questo bias? Perchè si tende a chiedere il motivo dell’acquisto ai consumatori attraverso sondaggi, questi difficilmente affermeranno di subire influenze esterne nel momento dell’acquisto, convinti di prendere decisioni indipendenti.

David Olgivy sosteneva che i consumatori non pensano ciò che provano, non dicono ciò che pensano e non fanno ciò che dicono. Eppure gli inserzionisti continuano a condurre ricerche di mercato prendendo per oro colato le dichiarazioni dei consumatori.

Non dare per scontato dunque che la propria forza commerciale o popolarità sia nota. Non per forza bisogna essere leader di mercato, ci sarà qualche elemento che ci rende primi in qualcosa?

Differenziazione, se il mondo va da una parte, andiamo in quella opposta

A un campione di 500 persone viene dato un elenco di numeri, 15 in nero e uno in azzurro. Dopodiché viene chiesto loro quale numero si ricordassero, le probabilità che fosse quello azzurro erano superiori di 30 volte. E’ stato fatto lo stesso con alcuni brand, 15 di automobili e uno di fast food, quello più ricordato era ovviamente quest’ultimo. La differenziazione rende memorabili i brand.

Risulta oggi fondamentale riuscire a differenziarsi e sovvertire le norme di categoria. Il libro fa l’esempio delle birre che sponsorizzano tutte le competizioni più seguite di calcio (Heineken la Champions League, Carslberg per il campionato inglese, Budsweiser la FA cup), oppure le case automobilistiche che mostrano i loro nuovi modelli che affrontano le curve di un paesaggio. In realtà la pubblicità che appare sicura o familiare è oltremodo rischiosa, sopratutto oggi è importante uscire dagli schemi e differenziarsi nella comunicazione (come tone of voice, tipologia di pubblicità e strumenti tramite cui divulgarla).

Il problema è che più persone sono coinvolte nel processo decisionale meno è probabile riuscirsi a differenziarsi o assumersi il “rischio” di fare qualcosa di diverso. Spesso le agenzie hanno paura di perdere il cliente e quindi si tende a mantenere lo status quo.

Umore

L’impatto dell’umore sulla nostra capacità di osservazione è stato studiato da Fred Bronner dell’università di Amsterdam, dopo aver fatto leggere velocemente un quotidiano a un campione di persone è stato chiesto loro quali pubblicità si ricordassero. I dati sono stati suddivisi in base all’umore dei lettori. Quelli rilassati avevano notato il 56% delle inserzioni contro il 36% degli stressati. Anche chi aveva dichiarato che la sua giornata fosse andata benissimo aveva notato il 46% delle inserzioni contro il 26% di chi aveva avuto una brutta giornata.

Questo dimostra che nella pubblicità è si importante raggiungere la persona in target sui mezzi più adeguati ma anche nel “momento giusto”, le emozioni del consumatore diventano fondamentali.

Perchè i consumatori felici dovrebbero essere più ricettivi nei confronti della pubblicità? Il premio Nobel Daniel Kahneman da una spiegazione evoluzionistica al fenomeno. Quando siamo di buon umore vuol dire che non ci sono pericoli imminenti, per cui si attenua l’esigenza di pensare in modo critico e siamo più disposti a recepire messaggi pubblicitari se siamo felici.

Dunque bisognerebbe prendere di mira i consumatori quando sono felici o mentre svolgono attività piacevoli, come al cinema. Nel weekend, è dimostrato, viene raggiunto il picco di felicità, in particolare il sabato.

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